lunedì 31 ottobre 2011
Una boccata d'ossigeno
domenica 30 ottobre 2011
L'irreparabile fuga del tempo

martedì 25 ottobre 2011
Chi festeggerà il 17 Marzo?
Ripropongo su questo nuovo blog un articolo che ho scritto lo scorso Marzo in occasione delle celebrazioni per l'anniversario dell'unità d'Italia
Chi festeggerà il 17 Marzo?
“Questa improvvisa e momentanea fierezza di essere italiani”. E’ stata l’accusa provocatoria di un amico a svegliarmi dal torpore e a rimettere tutto in discussione. Liquidarla come una banalità non era possibile, non si trattava di un’affermazione poi tanto lontana dalla verità. E’ vero, siamo italiani solo nelle azzurre notti di Berlino o quando L’Aquila chiama. Bravissimi a discutere della proprietà della Gioconda e sempre pronti a infervorarci per le futili provocazioni di Bossi. Uno stupendo orgoglio italiano. A spizzico. A chi vogliamo darla a bere? Non siamo un popolo patriottico, non ci riconosciamo in questo Paese, non crediamo nel suo presente, tantomeno nel suo futuro. Chi festeggerà il 17 Marzo?
Le cause di questa triste situazione sono diverse. Aspetto imprescindibile per qualsiasi riflessione è la condizione di Paese giovane, con una breve memoria storica e a stento consapevole della propria condizione. Centocinquant’anni sono relativamente pochi, al confronto con la Francia, l’Inghilterra, la Spagna. Se si considera inoltre che solo dopo il boom economico la nostra nazione si è potuta sedere a testa alta al tavolo dei Grandi, l’Italia a questo punto appare una neonata. E’ stata necessaria la Resistenza per unire gli Italiani: attraverso le durezze della clandestinità, mettendo in gioco le loro vite per un ideale comune, per un domani libero e migliore per il proprio Paese, i giovani partigiani si sono sentiti davvero uniti sotto una bandiera comune. Tutto questo, però, accadeva solo mezzo secolo fa.
Il contesto internazionale non contribuisce al raggiungimento di una coesione interna. Le spinte secessioniste che soffiano in Europa, complici il tempo di ristrettezze economiche, gli stravolgimenti globali e i flussi migratori, trovano terreno fertile nel campanilismo della Penisola. Mai come oggi i localismi italici sono tanto forti e assordanti.
Si tratta di una pessima combinazione di fattori, cui va purtroppo ad aggiungersi una tipica cifra nostrana. La tendenza all’autocommiserazione, il piangersi addosso dell’Italietta, che tanto ama essere derisa e suscitare la compassione altrui. E’ un atteggiamento rassicurante, che evita il confronto con le grandi sfide del terzo millennio.
Essere patriottici non è cool. E’ più pratico recitare il mantra della sfiducia e sbeffeggiare ironicamente il Paese. Atteggiamento frutto di un anticonformismo da discount, del voler essere necessariamente contro. Uno stile che può anche risultare originale e creativo, ma divenuto fine a se stesso, non può che suonare velleitario e sterile.
In fondo la grande Italia ha paura di sentirsi tale. E’ un timore viscerale, istintivo e inconsapevole verso l’attaccamento alla bandiera. Memore del proprio passato, il popolo italiano non ha dimenticato l’ultima volta in cui si è infiammato per la sua grandezza, e la conclusione di quel periodo a Piazzale Loreto. Una tale ferita non si è ancora rimarginata. Chi espone il tricolore, difficilmente riesce a evitare la silenziosa condanna sommaria di fascista.
Tuttavia festeggiare l’Italia non significa esaltarla perché migliore di altri, né può ridursi a un tronfio patriottismo pallonaro. Significa molto di più: ricordare la grandiosa e simbolica impresa che è stata la lotta per l’unità, celebrare il nostro storico millenario passato, ma soprattutto riconoscere la Nazione come la culla della nostra identità, come protettrice della nostra cultura, come portavoce dei nostri valori in Europa e nel Mondo.
Siamo stati capaci di grandi cose. Quanto dista il giro di boa per ricominciare ad esserlo?
Una risata ci seppellirà?
Il Presidente del Consiglio non è credibile. Assodato.
Siamo in una situazione pessima, come paese. Indiscutibile.
Se l'Italia cade, l'Europa ne risentirà pesantemente e quindi le pressioni straniere sono fondate. Anche questo è incontrovertibile.
Ma da qui, ad essere presi in giro ce ne passa: non è questione di essere berlusconiani o meno, per una volta la distinzione tra Italia e Governo va fatta. E invece il ragionamento sotterraneo, che ho sentito in questi giorni è che in fondo Sarkozy e la Merkel hanno ragione a ridere della situazione. Che sotto sotto ce lo meritiamo. Balle.
Come se la situazione francese fosse tanto più rosea della nostra. Siamo tutti in ballo oggi in Europa, un po' più di serietà e diplomazia sarebbe auspicabile. La marcia indietro di Berlino è una decisione apprezzata.
Stavolta sono più condivisibili le dichiarazioni del Presidente, che altre esternazioni giornalistiche.
sabato 22 ottobre 2011
Via dall'Iraq, sul serio
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